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Un film di Dodo Fiori. Con Paolo Sassanelli, Marta Iacopini, David Nebbia, Nina Torresi, Dino Abbrescia. Drammatico, durata 80 min. - Italia 2010.
Paolo, un architetto di successo, non capisce il figlio Matteo, grasso, mammone, apatico. Dal canto suo, Matteo vorrebbe comunicare con il padre ma il genitore gli sfugge. Un giorno, Paolo ritrova per caso un vecchio amico in difficoltà, Diego, e gli offre il suo aiuto. È così che in casa di Matteo entra la giovane Nina, figlia di Diego, nel frattempo finito in ospedale a seguito di un brutto incidente. La ragazza aprirà gli occhi dell'adolescente sulla nefasta influenza dei suoi genitori, ma subirà poi le conseguenze di un risveglio tanto improvviso e drammatico.
Se l'intento di questo secondo lungometraggio del romano Dodo Fiori era quello di spiazzare, non si può che dire conseguito, ma anche insistito, imposto, non facilmente condivisibile dallo spettatore. Le tematiche sono quelle già scelte dal regista come materia di riflessione per la sua opera prima, “Il silenzio intorno”, ovvero il rapporto del protagonista con un padre colpevole, prima di non offrire una strada, poi di stendere un tappeto rosso lungo il sentiero sbagliato, ma l'esposizione è manichea: ricchi contro poveri, freddi contro caldi, carnefici contro vittime.
È un film senza atmosfera, che si muove in un vuoto di vita e di speranza che poteva davvero farsi raggelante se solo fosse andato un po' in profondità, se non si fosse affidato a dialoghi troppo facili e ad una premessa esageratamente lunga, quasi estenuante.
Paolo Sassanelli si conferma un attore di grandissimo spessore, capace di mutare sotto le luci, di rivestirsi di ombre, di inquietare per la gestione magistrale delle sfumature. Il suo duetto con Dino Abbrescia, non certo il primo né l'ultimo, tra piccolo e grande schermo, ha ormai raggiunto un livello recitativo ammirevole, ma purtroppo non si può dire lo stesso delle scene famigliari, con la moglie o il figlio, che disseminano il film di scompensi, rendendo faticosetta la visione.
Per fare un cinema davvero scomodo e cattivo occorre rinunciare al moralismo e alle giustificazioni di sorta, sociali o psicologiche che siano, mentre il lavoro di Dodo Fiori, che pare aspirare coscientemente allo status di controverso, non passa ancora la linea e finisce vittima dello stesso ricatto che denuncia in scena: quello del cinema di papà, per l'appunto.