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L'erede - The Heir - 2011.avi

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Czas trwania: 84 min

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L'erede - The Heir - 2011

Un film di Michael Zampino. Con Alessandro Roja, Guia Jelo, Davide Lorino, Maria Sole Mansutti, Tresy Taddei Noir, - Italia 2011.
Iris Film Distribution uscita venerdì 8 luglio 2011.

Dopo la morte del padre, il ricco radiologo Bruno riceve in eredità una villa sperduta tra i monti Sibillini. Senza grandi aspettative né entusiasmo, prende la macchina e insieme alla fidanzata corre a vedere la casa. Una volta raggiunto il posto, scopre di avere tra le mani una proprietà interessante e decide di ristrutturarla per rivenderla all'offerente più generoso. Scopre anche la presenza poco rassicurante della famiglia Santucci, i vicini di casa, vecchi amici e confidenti del padre, malamente intenzionati a prendere possesso delle mura cadenti della villa. Capisce presto che, dietro alla prodigata gentilezza dei dirimpettai, si nasconde la brama violenta di estorcergli casa, mobili e giardino, e il desiderio di vendicarsi per i soprusi subiti dal misterioso genitore.
Con poche locations a disposizione, una casa isolata, un albergo e qualche strada tortuosa dell'Appennino umbro-marchigiano, il regista Michael Zampino ha preferito puntare sulla forza carismatica degli attori. La scommessa di riuscire ad essere avvincente, malgrado un budget ridotto e un cast al minimo indispensabile, deve essere stato un passaggio obbligato, necessario a esaltare gli aspetti più intriganti della sceneggiatura scritta da Ugo Chiti, senza scadere in un'eccessiva semplificazione visiva. L'aiuto deriva dal cast (Guia Jelo su tutti, in gioco nella trama con anima e corpo), fatto di volti convincenti e interpretazioni ponderate. Il protagonista, Alessandro Roja, dal ruolo televisivo del Dandi (il criminale ‘carnefice' più calcolatore della Banda della Magliana) passa all'esatto opposto e diventa la ‘vittima' innocente di un complotto: anche in questa nuova versione più ingenua e spassionata, a tratti fin troppo ingessata, dimostra però di non essere immune da un istinto di prevaricazione atavica, sottile e inizialmente invisibile.
L'identità della sua classe sociale - la convenzionale borghesia milanese – viene messa sotto analisi e confrontata con il comportamento deviato (da anni di frustrazione e violenza) della rurale famiglia Santucci. Lo scontro si svela lentamente fino a sfociare in una vera e propria battaglia, combattuta a colpi di invasione di proprietà privata, gesti intimidatori e provocazioni sessuali. E malgrado i limiti di una fotografia senza ombre né luci (un peccato, considerando che L'erede, per temi e precetti, si inserisce perfettamente nel genere del noir), il film riesce a sostenere una struttura narrativa fatta di pochi movimenti, grandi dialoghi e cura dei dettagli. La presenza inquietante del coniglio, mai ridondante, sempre puntuale a segnare l'inizio di un nuovo capitolo della storia, è l'immagine memorabile di un esordio che dimostra grandi potenzialità. Michael Zampino è già atteso alla prossima prova.

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obrazekobrazekobrazekobrazekobrazek(2,58 mymovies.it) ...Ecco allora che chi ha amato la materialità polverosa de La terra può non apprezzare la 'finzione' di un film che si conclude in un teatro antico dopo aver inanellato, specialmente nella seconda parte, una serie di colpi di scena a volte prevedibili. Ma proprio lì sta il gioco della finzione a cui gioca Rubini/Lulli. In quella sagoma che chiude il film troviamo la definizione quasi geometrica di ciò che nell'opera precedente si traduceva in frantumazione di un nucleo sociale. Rubini, che lo voglia o no, è intervenuto consapevolmente su un tema che il cinema italiano o ha trascurato o ha trattato come punto di partenza per altri percorsi (penso ad esempio al quadro di Le fate ignoranti). Il rapporto tra il critico d'arte e l'artista è inevitabilmente un gioco di sovrapposizioni in cui ognuno inizialmente 'finge'. Il secondo simula di poter essere autonomo, il primo di elargire la propria benevolenza pigmalionica. Ma è su questa duplice finzione che Rubini lavora (narrativamente complice una Vittoria Puccini il cui nudo integrale, liberato dalle catene da atelier della Béart de La bella scontrosa, fa pensare a una pre-scultura da catturare come immagine non definitiva). Consapevole però di offrire al contempo una verità. In particolare quella di un rapporto di dominio in cui chi possiede le leve del potere mediatico può elevare o abbattere a proprio piacimento. La scena al ristorante in cui Scala deve decidere se farsi ammettere definitivamente a corte oppure riacquisire la propria dignità è carica di una tensione tangibile. È come se in quel momento tutta la fisicità dell'opera dello scultore dovesse trasformarsi nelle parole che il critico sa manipolare così bene nonostante la sua sterilità (anche riproduttiva). Da quella scelta dipendono gli sviluppi di una vicenda in cui la decisione di andare talvolta narrativamente sopra le righe non è accidentale ma voluta. È come se l'impronta sulla sfera (fondamentale la collaborazione di Gianni Dessì) divenisse quasi un logo del film: il coraggio di imprimere un segno indipendentemente dalla lettura e dall'uso che altri potranno farne. Il cinema è anche questo e ben vengano (in Italia) i registi che ancora se lo ricordano.
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